PROCESSIONE DEL SS. CROCIFISSO
LA VIA CRUCIS DELLA NOSTRA PARROCCHIA
Nella lettura della Passione secondo Giovanni, la stessa di ogni Venerdì santo, ci sarebbero tanti particolari da evidenziare per una meditazione fruttuosa, dettagli a decine, a bizzeffe, per far risplendere la Parola del Vangelo intorno al mistero della Pasqua di Nostro Signore. Mistero che si realizza nell’amore e nel dolore. Mistero che si concretizza in un giardino. Una narrazione che comincia da un giardino e finisce in un altro giardino. Su questo luogo proverò a soffermarmi insieme con voi stasera. «In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli» (18,1). Passeggiare nel giardino è quello che Dio Creatore ama fare insieme con i progenitori: li cerca, li interroga, li coglie nella loro quotidianità. Scrive padre Ermes Ronchi: «Le braccia di Gesù, inchiodate e distese in un abbraccio che non può più rinnegarsi, sono le porte dell’Eden spalancate per sempre, sono cuore dilatato fino a lacerarsi molto prima del colpo di lancia, sono accoglienza di ogni creatura, alleanza con tutto ciò che vive: genesi dell’uomo in Dio. Perché l’amato nasce dalle ferite del cuore di chi lo ama. L’uomo nasce dal Cuore trafitto del suo Creatore». E così si capisce che la vita non è possesso o rapina, ma dono di sé; che Dio e la vita sono dono reciproco di sé. Allora la croce è davvero la gloria di Dio, l’ora gloriosa della vita, come appare da tutta la Passione secondo Giovanni. C’è poi la seconda ricorrenza del vocabolo “giardino”: «Uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: “Non ti ho forse visto con lui nel giardino?”» (18,26). Il giardino diventa il luogo della verità e della trasparenza, lo svelamento dell’angolo più profondo e intimo di noi tutti. Nel recinto di verde con Cristo non possiamo più barare, la sua presenza ci avvolge e travolge, ci chiama a prendere posizione, non è più possibile fare nessun doppio gioco. Tutto cambia con lui o senza di lui. Gli occhi di molti sono puntati addosso a noi, dobbiamo necessariamente assumerci le responsabilità e i doveri del nostro battesimo. Giardino è il mio spirito, la mia famiglia, la comunità, giardino è l’ambiente di lavoro, quando la croce che vi trovo mi santifica. E, infine, alla conclusione del lungo passo evangelico di Giovanni: «Nel luogo dove (Gesù) era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (19,41). Il giardino diventa il luogo della vita nuova, la condizione spaziale della risurrezione di Cristo e poi anche della nostra. Non è più tempo di passeggiare nel giardino tra l’alba e il tramonto, bisogna abbandonare l’uomo vecchio e stabilire nuovi equilibri, nuove armonie di vita. Il giardino è lo spazio interiore per aprirci alla luce ed accogliere gli altri con le loro difficoltà, con le rinunce che saremo chiamati a fare per la bellezza del loro giardino personale, le nostre rinunce e i nostri sacrifici per la loro salvezza. La Settimana di Passione non ci fa distogliere gli occhi dalle settimane travagliate che molti fratelli migranti stanno vivendo, troppi fra loro pagando di persona, pagando con la vita la speranza di un futuro migliore. Sono almeno due in questo momento gli orizzonti che si aprono sotto i nostri occhi: uno appartiene al mar Mediterraneo, l’altro è internazionale. Questo 2014 sono esattamente ventitré anni dal primissimo sbarco di albanesi sulle coste della Puglia, alla caduta del regime comunista. Non ci siamo dimenticati di quella tragedia che vide la Puglia in prima linea per tamponare l’emergenza. E continuano a emigrare intere popolazioni, abbandonando la patria, la casa, gli affetti. Gesù è straniero ed è crocifisso sul legno sino alla fine dei tempi. Egli ci ripete le parole del giudizio finale, che sono per noi straordinariamente attuali, una contemporaneità che anticipa ogni previsione futura, chiama a rimboccarci le maniche, a spogliarci di giudizi avventati, chiama a conversione e a promuovere l’uomo: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35). Non so se avete sentito che a Siculiana, piccolo paese in provincia di Agrigento, tre anni fa è stata vissuta una Via crucis, in cui la croce era realizzata col legno di uno dei barconi dei migranti sbarcati sull’isola di Lampedusa. Questa è la croce che stasera siamo chiamati a baciare e a venerare, finalmente liberati da ogni pesante fotografia, da una comprensione avvilente del fenomeno migratorio. E adesso la prospettiva più larga, in questo Venerdì di Passione una finestra aperta sulla mondialità. Si tratta della persecuzione perpetrata ai danni dei cristiani che in alcuni Paesi non godono dei minimi diritti, men che meno di quello alla libertà religiosa. Sentite le parole che fungono da testamento spirituale di Shahbaz Bhatti, Ministro federale delle Minoranze religiose in Pakistan, nato nel 1968 e assassinato il 2 marzo 2011 da un commando estremista nella capitale Islamabad. Sono circolate anche in internet, finalmente sul web qualcosa di dirompente e di contagioso nel bene: «Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica (…) Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio e nella crocifissione di Gesù. Fu il suo amore che mi indusse a offrire il mio servizio alla Chiesa». «Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo soltanto tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo». «E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi a servizio dei cristiani specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo Paese islamico» (…) «Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solamente un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino di me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo». Tra sedici giorni a Roma sarà canonizzato Papa Giovanni Paolo II e in questa Pasqua non possiamo dimenticare la sua grandissima lezione di umanità e santità. Dopo aver stabiliti i nuovi canoni del processo per elevare agli onori dell’altare un fedele battezzato, è praticamente la prima volta che un Pontefice beatifica il suo immediato predecessore. Dunque, stiamo per assistere ad un evento storico. Vi vorrei ricordare alcune parole che Papa Wojtyła scrisse in un suo testo poetico: «L’amore mi ha spiegato ogni cosa, / l’amore ha risolto tutto per me / perciò ammiro questo Amore / dovunque Esso si trovi». Per entrare nel mistero del totale svuotamento e della suprema gloria del Figlio di Dio, è necessaria la chiave dell’amore. Come è stato per il nostro amato Giovanni Paolo II, nelle lunghe notti della nostra storia e di quella d'ogni uomo la fede e la poesia ci aiutano a tenere desta la speranza e a intravedere l'alba. Adoriamo questa sera insieme la croce di Gesù nel giardino della nostra esistenza. Riconosciamoci per quello che siamo, deboli, vittime tante volte della nostra presunzione, dell’orgoglio, dell’inclinazione al male. Soltanto la croce ci offre salvezza. Così canta e inneggia ad essa la Liturgia: «O croce della nostra salvezza, albero tanto glorioso, un altro non v’è nella selva, di rami, di fronde a te uguale. Per noi, dolce legno, tu porti appeso il Signore del mondo». Adoriamo, sorelle e fratelli, quel legno santo dal quale trasuda l’amore in grado di spiegarci ogni cosa. Da esso è venuta la gioia in tutto il mondo, abbracciandoci ad esso scopriremo il segreto della vita vissuta in pienezza nonostante le prove, il segreto della Vita oltre la morte. Così sia.
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